SPECIALE: W.A.S.P., discografia consigliata 1999-2015 (PARTE 1)

21.12.2021

THE TITANIC OVERTURE

Questa storia inizia il 19 maggio del 1997, con un quasi-diciottenne in pieno vortice d'integralismo metallico, che si rifiuta categoricamente di partecipare all'assedio degli W.A.S.P. presso lo stage fiorentino del Tenax. La motivazione? "Hanno fatto un disco...DA DISCOTECA!!".
Più o meno chiunque, in quel periodo, apostrofò allo stesso modo l'anomala prova in-studio "Kill Fuck Die", ed in molti potranno testimoniare che nessun oltraggio sarebbe stato, all'epoca, accusato dai kids più di quello. A dire il vero, "da discoteca" significava tutto e niente: era, piuttosto, una goffa figura retorica -insita nel linguaggio headbanger degli anni '90- per puntare il dito contro qualunque forma di allontanamento dal cliché Heavy! Quegli anni di dissonanti fusioni tra chitarre hard ed orpelli "industriali" furono l'umore che favorì l'esperimento forse più infelice della WASP-saga. A nulla servì riconquistare, dopo quasi dieci anni, i servigi dell'irrequieto chitarrista Chris Holmes...

Blackie Lawless su Rockerilla, 1984. Archivio privato
Blackie Lawless su Rockerilla, 1984. Archivio privato

Le figure di Blackie Lawless e dei suoi guerrieri-della-notte, dalle sembianze che alludevano ad un lacero ed improbabile glamour "del paleolitico", intrapresero i primi passi di una delicata mutazione già con "The headless children", microsolco di classe che seguiva il roboante trittico discografico iniziale ('84-86). W.A.S.P. stava prendendo progressivamente le distanze dall'efferatezza degli esordi, dai libidinosi rockers come "Animal - fuck like a beast" e "Wild child", dalle megalomani alzate di testa di cui "I wanna be somebody" (soon!) è il generatore par excellence.
Orfano ormai dell'intera formazione originale, il lungocrinito sole-survivor rifonda gli W.A.S.P. nel 1992, circondato da professionisti di prima scelta, con un album che - purtroppo o per fortuna - rappresenterà l'Everest della carriera di Blackie Lawless. "The Crimson Idol" è la vetta oltre cui l'ascesa diverrà proibitiva: qualunque tentativo di ripresentarsi sul mercato, ahimè, subirà inevitabilmente il raffronto con uno dei più importanti e riusciti concept della discografia metallica tutta. Immeritatamente, fallisce quindi "Still not black enough" (1994) ed il ciglio del baratro è in bella vista, lo ribadiamo, al sopraggiungere di "Kill fuck die".

BENTORNATI ALL'INFERNO...?

ancora Rockerilla, 1984
ancora Rockerilla, 1984

1999: il ritorno forzato alla formula primitiva rock-n-roll-riff / inciso / ritornello da arena-del-piacere era abbastanza scontato, data l'urgenza di salvare capre e cavoli. "Helldorado" riesce a far rifiorire - almeno sul piano formale - quella sovrastruttura dalla febbricitante carica sessuale, sconvolgente sui primi tre album. Un buon disco, certo: anzi, forse è quanto di più riconducibile alle forme dei primi WASP-albums!
La title-track sembra riattivare per un attimo le fiamme crepitanti del feroce esordio, l'affamato Holmes suona riff e scale brucianti con la bava alla bocca ("Can't die tonight", "Cocaine cowboys"). W.A.S.P. è tornato ad essere la ghigliottina affilata di un tempo, mettendo da parte l'esistenzialismo ("The crimson idol") e la vena cantautorale ("Still not black enough") su cui aveva decisamente spostato il proprio baricentro ideologico? Non esattamente.

"Helldorado" è, lo ripeto, formalmente coerente con i primordi della band, ma manca in gran parte di freschezza, latita l'effetto-spontaneità che rendeva i primi W.A.S.P. un attentato sonoro alla parental guidance! Salta all'orecchio, inoltre, la palese assenza di un team importante in cabina-di-regia, defezione che viene del tutto smascherata dal successivo "Unholy terror".

Il platter-2001 riserva indubbiamente qualche episodio d'impatto ("Raven heart" e "Locomotive man"), ma sembra una riduzione minimal di quanto verificato appena due anni prima; mancano dei VERI arrangiamenti - soprattutto vocali - che permettano a brani come "Let it roar" o l'assatanato rock n'roll "Wasted white boys" di tramutarsi in hits blindate da palcoscenico. Gli anni '80 e relativi investimenti sulla materia prima heavy sono ormai argomenti da libri di storia...e si sente!

Piuttosto marginale e distaccato anche l'apporto di Chris Holmes, mentre la produzione è, nella sua carenza di nerbo, addirittura confusionaria. Forse, la suggestione più avvolgente di "Unholy terror" è il sentore di una svolta (nuovamente) introspettiva, che apra al solito caleidoscopio di riflessioni a carattere spirituale, politico ecc. Osservate come, da qui in poi, le copertine si (ri)presentano con toni decadenti, con i colori dell'eclisse.

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Permettetemi una divagazione del tutto personale: la prima volta che vidi W.A.S.P. esibirsi dal vivo, internamente al Gods Of Metal Festival 2001, furono cinquanta indimenticabili minuti di energia primordiale vomitata su un pubblico che, all'improvviso, sembrò dimenticarsi del microclima infernale di un Palatrussardi stracolmo. E non è tutto: ci aspettavamo Chris Holmes nella sua mise da palco-in-fiamme, ma chi poteva immaginare che l'inatteso sostituto Darrell Roberts avrebbe in verità contribuito a rivitalizzare il futuro prossimo degli W.A.S.P.?

DYING FOR THE WORLD (2002)

Nell'ideare questa retrospettiva, mi ero prefissato l'obiettivo di non dare troppo spazio al toto-leftover (non si contano, infatti, i brani "spacciati" per ritrovamenti vintage o banalmente additati come tali dai fans) né ad improbabili raffronti tra storici cavalli di battaglia e nuove composizioni. Ma, scusate, come si può trascurare il fatto che "Dying for the world" sia foriero di continui rimandi, plateali o meno, a "The headless children" e ai suoi due immediati successori?

La giusta chiave di lettura di W.A.S.P. 1999-2015 è quella del reboot: conviene accettare un repertorio fondamentalmente citazionista ed apprezzarne sfumature ed evoluzioni, fingendo che una sconosciuta american-band con le stimmate dell' idolo cremisi si sia lanciata in una poderosa cavalcata solitaria.

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Morire per il mondo. Un titolo esistenzialista, un Blackie Lawless mai così amaro dai tempi del suo insormontabile capolavoro. La produzione migliora (nei limiti "imposti" dalla loudness-war del periodo), arrangiamenti ed orchestrazioni pure, la "ventola" dell' Hammond ruota a pieni giri, tenendo alta la tensione, e le chitarre di Darrell Roberts - pur distanti dal riffing cavernicolo di Holmes - infondono rinnovato vigore e divampano nei fraseggi di "Stone cold killers", "Hell for eternity" e "Revengeance".

In apertura, "Shadow man" è un increscioso rip-off dei Metallica che non agevola certo la carburazione, rendendo "Dying for the world" un album da scoprire strada facendo, con momenti di sinistra quiete ("Black bone torso") e commoventi melodie proferite con il groppo in gola ("Hallowed ground", splendida anche nella conclusiva traduzione semiacustica). Da tempo immemore, W.A.S.P. si era spogliato delle vestigia dell' hit-maker, da troppi anni le lame rotanti - e gli attributi - di Blackie Lawless non erano più all'altezza di forgiare un brano come "My wicked heart", ardente maiden-riff che non teme confronti con il catalogo classico...stavolta, sul serio!

FINE PRIMA PARTE

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