SPECIALE Tolkien, il pompy-rocker

28.05.2021

Quello tra letteratura fantasy e musica rock è stato e continua ad essere uno dei più felici e longevi matrimoni della storia dell'umanità. Non mettetemi in condizione, per favore, di dover ribadire in questa sede quali e quanti fenomeni stilistici particolarmente riusciti siano scaturiti dal fertile immaginario del "Signore degli anelli": di parlare ancora una volta di Blind Guardian ed altre coniugazioni del verbo tolkeniano che potete approfondire ovunque, sinceramente, non mi va. Non è la sede adatta, inoltre, per puntualizzare come anche le derive mistiche dell'elettronica (dalla new age ai rami più oscuri dell' ambient) siano state spesso suggestionate dalle visioni dell'illustre ProfessoreE' stata invece una breve conversazione con l'opinionista e scrittore Mox Cristadoro ("I 100 migliori dischi del progressive italiano", Tsunami, 2017) a suggerire quanto segue.

L'immaginario di Arda, questo il nome del "mondo" ove hanno luogo le saghe tolkeniane, è stato pressoché sempre presente nelle correnti sonore dagli anni '60 (almeno come spunto tematico per le liriche) in poi, ma è con il rock sinfonico e progressivo dei seventies che inizia l'ardita ricerca di forme perfette che restituiscano, in musica, l'idea di John Ronald Reuel Tolkien.

il film animato "The Hobbit" del 1977
il film animato "The Hobbit" del 1977

Le vicende della Terra di Mezzo e dei suoi abitanti, quindi, diventano retaggio da tramandare alle generazioni future del rock erudito: l'alba dell'hard reca già immagini compiutamente tolkeniane con gli Uriah Heep di "Demons & Wizads", con le affascinanti geometrie dei Rush (nel '74, "Rivendell" non è solo elfica dimora, ma un suggestivo brano dall'album "Fly by night"), con l'epicità incendiaria dei primi Queen ("Ogre battle"!). Sono successivi di pochi anni i contributi di Styx, espliciti con "Lords of the ring" (1978), e dei maestosi Kansas - dal più ampio respiro fantasy.

Cristadoro fa notare, giustamente, come l'astro indiscusso del prog anni '80 abbracci la mitologia tolkeniana a cominciare dal proprio, seppure tronco, nome di battaglia: Marillion include, per la verità, ulteriori punti fermi del repertorio fantasy, dalle lacrime del giullare alla traduzione del mito di Grendel in una disumana suite (un lato-B!) che sfiora i venti minuti di inaudita classe compositiva.

Sarebbero però sufficienti le poche note biografiche disponibili sugli americani Surprise, per creare di punto in bianco un vero caso di Tolkien-rock erroneamente trascurato dalla Storia. Rick Bess e Blair Blake, chitarra e tastiera di questo incredibile quartetto, in preda ai sogni visionari di Genesis ed altre sinfonie lisergiche, si rifugiano in un bosco in cerca di ispirazione: torneranno dal ritiro spirituale con la stesura dell'album "Assault on Merryland"!

La bucolica copertina e le texture psichedeliche che questi mezzuomini ci sbattono in faccia nel 1977 con il loro primo ed unico disco in studio (in contemporanea usciva film animato "The Hobbit"!) aprono le porte all'escalation della musica dura nel panorama incantato della Terra di Mezzo. Si rivelano probatorie, in questo senso, le fughe e le cavalcate metalliche di "Tyrangatang" e "Dance the Tarantella".

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L'indagine sulla nascita del pomp-rock, in quanto punto di contatto tra le vestigia del progressive e le forme aristocratiche del nascente AOR, richiederebbe un approfondimento a sé. E' però evidente che, a cavallo tra anni '70 e '80, sia stata la "solita" Birmingham ad incorniciare un immacolato manifesto pompouse con gli straordinari Magnum. Nonostante (anche qui) non si riscontrino espliciti riferimenti agli scritti di Tolkien, l'ipersensibile fantasy-sound offerto dal genio Tony Clarkin e dalla sua squadra tocca la sublimazione del concept a base di draghi, castelli e incantesimi con "Chase the dragon" (1982) e con un bis epocale, tre anni dopo, intitolato "On a storyteller's night".
Ritroveremo, ironia della sorte, il loro portentoso cantante Bob Catley a dare sfoggio di rimarchevoli doti interpretative, nel 2001, con l'opera solistica "Middle Earth" -  ispirata proprio al "Signore degli anelli"!

Magnum su Metal Hammer U.K., 1987. Collezione privata
Magnum su Metal Hammer U.K., 1987. Collezione privata

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Emersi a posteriori grazie alla retrospettiva "Two feet tall" (1999), Hobbit sono stati l'entità forse più legata al multiverso tolkeniano in ambiente pomp. L'influenza dei Kansas sovrasta la proposta di questo sconosciuto combo americano fin dal valoroso 45-giri "Midyear's eve / Intensity" (1981), una doppietta di potenziali classici inspiegabilmente sorvolati - oppure dispersi nella tetra desolazione di Moria?
"Two feet tall" potrebbe rappresentare senza fatica la canzone di Ilùvatar del filone preso qui in esame, tanto è elevato il livello di pertinenza tolkeniana degli Hobbit, figli deluxe di un dio decisamente minore. Torneranno, questi rockers alti due piedi, all'inizio del Nuovo Millennio con il buon "Rockin' the Shire", ma si tratterà soltanto di una (pregevole) esibizione di sincero AOR.

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Dall'irradiante settore della menzionata new age proviene David Arkenstone, alunno del grande Kitaro ma con una iperbole tolkieniana al posto del cognome.
Presumibilmente folgorato dalle fusioni fanta-rock di Kansas e relativi epigoni, David "Arkengemma" registra nel 1983 un demo-tape orientativamente pomp, con tanto di eleganti licks elettrici, rifacendosi agli arabeschi dei Magnum e -soprattutto- reclutando per gli oneri vocali un giovanissimo Mark Free, futuro eroe romantico del mondo AOR.
L'eccessiva rarità del nastro, mettiamoci l'animo in pace, combacia con la qualità del materiale proposto. Arkenstone suonano invenzioni dai tratti epici e nobiliari come "Magic castle", "Firestorm" e "Highwayman", forti di un Mark Free già perfettamente maturo e pronto per le prossime, gloriose avventure con King Kobra, Unruly Child e con gli irrinunciabili Signal.

Per dovere di cronaca, faccio presente che parte del materiale discusso in questo articolo è ormai a distanze stellari dai cataloghi,  il che è naturalmente sinonimo di scarsa reperibilità e costi elevati.
C'è da chiedersi, in ultima analisi, se, senza J.R.R. Tolkien e la sua laboriosa opera, potremmo ugualmente, oggi, godere di tutto ciò...

Massimo

i Surprise nel 1977
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