SPECIALE: Behind the Metal Curtain - storia dell'Hard Sovietico (parte 3)
L'INIZIO DELLA FIИE?
Che la vogliate chiamare distensione, perestrojka o in qualunque altro modo, la realtà è che, da quel 13 agosto del 1989, il Rock-in-Russia non sarà più lo stesso. Potremmo avanzare un postulato in base al quale la Musica Dura proveniente dall'Unione Sovietica (prossima al tramonto) stesse persino migliorandosi, almeno formalmente: incisioni più curate, liriche in inglese e quant'altro inscenavano un'apparente conformazione agli standard occidentali.
E' sufficiente prendere come esempio il super-singolo "Animal rider" degli Sphinx (Сфинкс), i Formula-1 con valorosi estratti come "Russian Eagle" e "Queen of lie", oppure Galaxy, significativa riedizione export dei Galaktika (Галактика), per rendersi conto di come il processo di occidentalizzazione stesse riorganizzando l' hard oltrecortina.
Mentre nasceva una nuova colonia a stelle e strisce, moriva lentamente la poesia di un sound imperfetto, sì, ma immaginato, desiderato ed agguantato con le unghie e con i denti, attraverso dischi-radiografia, trading clandestino ed altre peripezie già narrate.
Riavvolgiamo piuttosto la bobina al citato agosto '89, per visualizzare nel dettaglio quella risonante due-giorni che risponde al nome di Moscow Music Peace Festival, con tutte le sue contraddizioni.
Uriah Heep, fatto ampiamente verificato, aprirono la via ai concerti delle rockstar occidentali in Russia, con il tour del 1987 da cui scaturì l'eccellente ellepì "Live in Moscow". La scintilla appena accesa provocò una densa competizione mediatica tra i pilastri metallici en vogue in quei giorni: quante volte abbiamo letto, nelle "nostre" riviste specializzate, le parole di sedicenti protagonisti che reclamavano tale primato?!
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Chi -invece- prese in mano la situazione per farne un pachidermico e redditizio evento (in pieno American-style) fu il noto impresario Doc McGhee che, con il supporto del suo assistito numero-uno Jon Bon Jovi e della fondazione Make a Difference, riunì i suoi i illustri clienti Motley Crue, Scorpions ed altra crema del firmamento hard allo Stadio Lenin di Mosca, per il Music Peace Festival. Non è questa la sede in cui discuteremo la qualità delle esibizioni che si svolsero in quei due giorni dell'estate '89: ci interessa invece notare come i tentacoli americani penetrarono nella vacillante URSS, urlando potenti slogan anti-droga (mi chiedo a QUALI problemi di droga si riferissero, nda) e scritturando per il colossale evento i soli Gorky Park (Парк Горького) in rappresentanza della Metal-Armata sovietica.
il videoclip di "Bang"
Non è mia consuetudine fare discriminazioni all'interno di una retrospettiva "delicata" come questa, s'infittisce tuttavia il mistero sui reali motivi per cui Gorky Park siano nati e vissuti sotto una stella tanto favorevole. Millantavano persino un'amicizia fraterna con i Bon Jovi!
Si attivarono nell'87, cavalcando l'onda dei programmi politici di Gorbaciov, questi glam-rockers che sfoggiavano chitarre elettriche a forma di balalaika (!), quasi a voler basare la propria immagine su stereotipi facilmente "esportabili" - mantenendosi ad appena un passo dal ritratto caricaturale. Non vi stupirete più di tanto, apprendendo che il primo album dei Gorky Park fu pubblicato con il patrocinio della Mercury, e che il singolo "Bang" (dall'imbarazzante coro "say da da da da") fece il giro del mondo, espugnando addirittura i bastioni di MTV!
Di tutta la musica stampata nel Blocco fino a quel momento, la proposta mainstream da sfoggiare in mondovisione non era soltanto risibile in termini musicali (si sfiorava la parodia dei Def Leppard peggiori!), ma anche infinitamente meno heavy rispetto a quanto offerto da veterani della scena come Ariya e Black Coffee.
THЯASHIN' MAD IИ THE USSR!
E' per una mera questione di sintesi e facilità di lettura che ho preferito tralasciare quasi del tutto la cronistoria (parallela) dei reparti estremi, limitando la selezione all'omonimo Master, caposcuola sovietico per quanto riguarda certe sonorità; Kruiz, contratto WEA alla mano, tenteranno l'espatrio con uno scadente album votato alla thrashin' attitude, mentre il bellicoso auto-titolato dei Valkyria (Валькирия), uscito solo nel 1993, merita una menzione non solo per le trancianti partiture tech offerte dal quartetto dell'area moscovita, ma anche per la straordinaria grafica di copertina che ne fa un collezionabile ambito e costoso.
i Red Square in concerto a Kiev, nel 1989
PIAZZД ROSSA: ULTIMO ДTTO
Dal versante Ovest risuonava sempre più forte il nome di Yngwie Malmsteen (l'astro che decretò nuove traiettorie nella parabola della chitarra elettrica), preparando le ricettive asce sovietiche ad una nuova iniezione di adrenalina. I funamboli russi delle sei-corde, pur lasciandosi ispirare fortemente dal prodigio scandinavo, si dimostrarono in grado di seguire percorsi sonori sufficientemente personali: "Paying for everything" dei Credo (Кредо) è un gioiello di Metal-sinfonico con effige Russian Disc (stampato in singola tiratura di 10.000 esemplari), puntuale nell'inglobare l'apparato "neoclassico" in un dedalo di evolute soluzioni heavy.
Di particolare interesse è anche la strategia del virtuoso Vsevolod Tatarenko, il ribelle della corazzata Galaktika che si gettò all'inseguimento della gloria personale, con i poco considerati Red Square (Красная Площадь). L'album, lontano anni luce dalla perfezione, si rivela comunque una collezione di bigiotteria Heavy-Rock dai notevoli momenti chitarristici, su cui spicca l'acrobazia malmsteeniana dal malinconico titolo "Padayet zanaves" ("cala il sipario").
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Il battesimo discografico di Monomakh (Мономах), la cui favolosa cover suggerisce già mitologiche visioni white, meriterebbe un approfondimento specifico. Monomakh esalta il suo sound tagliente facendovi confluire la possanza epica del pomp, in una miscela paradisiaca francamente unica nel variegato catalogo sovietico. L'estatico crescendo finale di "Nostalgia", la solenne valanga di cori nel rocker "Russkiy crest", i riff acuminati della ribollente "Pokaysya, brat!" stabilizzano il condottiero Arsen Zakharov ed i suoi Monomakh sui livelli "che contano".
Per i completisti, la sgargiante copertina dell'ellepì omonimo ritorna in versione mignon sul 45-giri "Я Ждал" (con inedito) e sul compact "Russian Hard Rock", split compilativo con i Red Square.
GOODBYE, LEADEЯ!
Avrebbe potuto questo racconto concludersi senza che Victor Vekshtein, re della console e dello scompiglio, macchinasse l'ennesimo dei suoi stratagemmi? Ovviamente no.
L'album d'esordio di una nuova forza metallica era praticamente ultimato e pronto ad irrompere come un miraggio di fuoco nello scenario crepuscolare della scena sovietica, quando l'astuto leader intervenne imponendo la propria consorte Antonina Zmakhova (già popstar dal pregevole curriculum) come cantante solista degli Sprut (Спрут)! In linea con gli episodi precedenti, il colpo di testa del produttore generò perplessità e agitazione tra i membri della band, ma ripassando i solchi del vinile omonimo si evince come la voce di Lady Vekshtein riesca a pilotare ottimamente l'Heavy Metal degli Sprut, granitico manifesto conclusivo di questa lunga ricerca!
Sarà l'ultima trovata ingegnosa del vero, grande protagonista di questa storia, deceduto la notte del 18 gennaio 1990 in strane circostanze - più accostabili ad una spy story che ad una monografia musicale.
La foto di gruppo scelta per la copertina di "Sprut" si tramuterà quindi in un omaggio esplicito a Victor Vekshtein, l'uomo d'acciaio che manovrò le sorti del Rock-in-Russia, il celebre volto di una nuova iconografia a metà tra il manager e il compositore (per gli Ariya, scrisse anche la hit smarrita "Vulkan", ricordate?), il fil rouge che ha guidato, da dietro le quinte, ogni tappa del nostro incredibile viaggio.