RICORDI: SCORPIONS, an Unbreakable faith
Mi dissocio dall'isteria globale che augura ogni giorno "buon compleanno" ai dischi del passato, sulle piattaforme social. Sarà per questo motivo, forse, se oggi ho rivisitato "Unbreakable" degli Scorpions, un album il cui prossimo anniversario ragguardevole (il ventennale) ricorrerà tra...un paio di anni!
Non mi piace neanche chi non perde occasione per alimentare il proprio ego strumentalizzando nomi di richiamo: spesso, gli auguri al tal disco o artista sono tristemente accompagnati da "IO l'ho intervistato", "IO l'ho invitato a cena", "...e questa è la mia foto con...". Da tempo immemore non leggo commenti a cuore aperto, nessuno che riesca a mostrare entusiasmo disinteressato o vere emozioni nel descrivere COSA quell' artista rappresenta veramente per lui/lei, il ruolo che la musica contenuta in quel disco ha avuto nella sua vita.
Quando parlo degli Scorpions, i protagonisti sono loro, che - semmai - accompagnano o aggiungono qualcosa al mio percorso umano.
1993: FACE THE HEAT
La radio trasmetteva il formidabile singolo "Wind of change" e lo ascoltavo senza sapere che gli interpreti di quel brano sarebbero diventati, di lì a pochissimo, uno dei miei punti di riferimento. Almeno musicalmente. Perché se c'è una cosa che non ho mai digerito fino in fondo, è quell'atteggiamento da demagoghi che gli Scorpions hanno assunto progressivamente da "Crazy World" in poi, quel "vogliamoci tutti bene" e "tutto il mondo può cambiare"... un po' Rocky Balboa, un po' Celentano.
Ma "Face the heat" mi stregò, il giorno che timbrai il primo cartellino alle Scuole Superiori. L'intimidatoria "Alien nation" ed il motivational "No pain no gain" erano forti e solenni, proprio come la musica, nei miei sogni, avrebbe dovuto essere. Con buona pace (anche) degli Iron Maiden, il cui potere "adrenalinico" mi era già ben noto. "Woman" mi ricordava i Queen ed i Pink Floyd dei momenti più evocativi: sempre a proposito di nomi che, tanti anni fa, sono stati per me un "veicolo" fondamentale. "Daddy's girl", dal testo scottante che creava uno stupendo contrasto con il tipico arpeggio acustico già sperimentato dagli Scorpions su altre fortunate ballad, fu omessa dall'edizione in vinile, per impreziosire soltanto i formati allora più richiesti.
L'estasi non sarebbe durata molto, poiché gli Scorpions si apprestavano a raggiungere il vertice probabilmente più basso della loro parabola: un paradosso, se si ha presente il furore con cui la premiata ditta Schenker-Meine-Jabs aveva fatto irruzione nel complicato circus degli anni '90. Praticamente esaurita la dynamite, il pungiglione si trasformò in un inoffensivo macchinario per la produzione seriale di ballate di scarso appeal.
Trovo del tutto superfluo provare a salvare qualcosa da "Pure instinct": che gli Scorpions fossero ancora in grado di forgiare qualche dignitosa melodia è la più sconfortante delle ovvietà, ma il boicottaggio che fu sollevato dal pubblico tedesco all'indomani dell'inqualificabile "Eye to eye" e del maldestro "Moment of glory" (tra i peggiori for group and orchestra del periodo!), non fu una banale mossa di disturbo.
"Gli Scorpions sono la più grande rock band americana, e vengono dalla Germania"
...disse qualcuno; e un'unità di questo livello non poteva accontentarsi di intrattenere arene semivuote, proprio in patria. L'inversione di marcia verso il passato divenne più un obbligo che un'opzione.
2004: UNBREAKABLE
Appena riuscii ad avere tra le mani "Unbreakable", il nuovo album, mi abbandonai a qualche impulso romantico di troppo, scrivendo per Hammerblow un commento leggermente largo di manica.
"Unbreakable" non è né un colpo di coda particolarmente devastante, anzi. Con "Remember the good times", "Love 'em or leave 'em" e "Blood too hot", Scorpions sposano la filosofia - tuttora persistente - in base alla quale le minestre riscaldate sono i migliori ricostituenti per la propria credibilità sonora; e non c'è niente di scandaloso nel malcelato riciclaggio, finché il materiale composto per l'occasione non smaschera, invece, una creatività ancora cagionevole.
Si spreca un buon arrangiamento per "Maybe I, maybe you", brano d'atmosfera eretto sulla più rassicurante delle armonie e su lyrics altrettanto qualunquiste; il tour-de-force che conduce ai botti finali della elettrizzante "Remember the good times" (...when Jimi played guitar!), è tedioso e raffazzonato, con episodi di incredibile pochezza ("She said") e frammenti di chitarra solista per cui, onestamente, incidere qualche take in più non avrebbe guastato.
In ultima istanza, pur non aspettandomi produzioni patinate come quella di "Savage amusement", accettare questo "lavoro" di Erwin Musper alla console mi costa davvero molta fatica.
"Unbreakable", però, non è un capitolo cui attribuire soli demeriti. Nel 2004, Scorpions pubblicano l'ultimo album prima di reinventarsi in una carriera da action-figures per tifoserie generaliste, da autori di tormentoni pretestuosi e (involontariamente?) macchiettistichi, dove la parola "rock" compare e si ripete ad intervalli fittissimi. E' "Humanity" che inaugura il nuovo corso degli Scorpions: quello "formato famiglia".
2009: A NIGHT TO REMEMBER
Lo sciame di aracnidi corazzati era ancora letale sui palcoscenici, certo, e soltanto i limiti fisiologici dovuti all'età hanno potuto - in questi ultimi anni - incidere pesantemente sulle performance dal-vivo.
Ricordo un viaggio estivo in Costa Azzurra, nel luglio del 2009: gli Scorpions suonarono over the top, con un bellissimo tramonto che si specchiava sulle acque del mare, a fare da cornice al loro scatenato spettacolo.
E' chiaro che quando la miccia fa esplodere "Coming home" ed innesca una serie di deflagrazioni d'altri tempi, che non contemplano le (dis)avventure discografiche più recenti, Scorpions escono sempre e comunque vincitori da qualsiasi arena. Ed il boato della folla è tutto per loro: è la loro leggenda, ancor più dell'esibizione, a meritarlo.
In studio, però, la situazione non è mai effettivamente migliorata. A cadenza più o meno quinquennale, gli Scorpions hanno continuato a rilasciare inediti pretestuosi, finalizzati all'allestimento di tournée-vacanza fra capitali europee e località balneari. Al di là dei singoli inefficaci (è il caso di "The good die young"), e tranelli pubblicitari abbastanza imbarazzanti (l'invenzione di un "tour di addio", nel 2010!), è innegabile che Rudy Schenker ed i suoi uomini avessero ufficialmente esaurito ogni riserva di effervescenza.
2022: ROCK BELIEVER
"Return to forever", nel 2015, diluiva ulteriormente lo strazio: Scorpions fomentava il pubblico giovane e quello occasionale con una trascurabile "We built this house" e, in contrapposizione, amplificava il ripescaggio di vecchie incompiute e inediti d'archivio (da segnalare l'energica "Dancing with the moonlight", dagli scarti d'epoca "Savage amusement") dando alle stampe un'edizione limitata di ben diciannove tracce!
Inutile spiegarvi quanto io trovi stressanti i dischi così lunghi e pieni di riempitivi. E non credo di essere l'unico. Purtroppo, molti "big" sembrano invece abbracciare felicemente questa tendenza: gli Scorpions ne fanno una linea editoriale, che coinvolge naturalmente anche il loro album più recente, "Rock Believer". Un titolo che riassume alla perfezione, ahimè, la nuova "politica" di una di quelle band che l'Heavy Metal non l'hanno soltanto suonato ai massimi livelli. Scorpions sono tra i pochissimi che possono vantarsi di averlo inventato.
Quanto ai contenuti dell'ultimo compact, il fatto di apparire come il primo album - dai tempi di "Face the heat"! - in cui gli Scorpions riprendono a comporre e suonare da par loro, non è del tutto sinonimo di ritorno in grande stile. "Rock believer" ha i connotati di superficie progettati sulla falsariga dello Scorpions-classico d'annata, ma è un po' deprimente constatare che ognuna delle nuove composizioni è praticamente un tributo ad un'alta hit del passato: vi è chiaro che "Seventh sun" è un omaggio a "China white", che "Shining of your soul" svolge la stessa funzione rispetto a "Is there anybody there", che la title-track è la moviola di "No one like you"...e così via?
Mi auguro che chiuderla qui rientri nei piani immediati degli Scorpions. E sarebbe una conclusione saggia e dignitosa, poiché "Rock believer", sebbene un po' patetico (anche nella copertina urlante, a'la "Blackout"!), NON è quell'orrore che avremmo potuto aspettarci dopo trent'anni di "Pure instinct", "Unbreakable" e "Return to forever".
Se il sipario dovesse calare sulle note di "Shoot from your heart", dritta al cuore (per l'appunto) di chi gli Scorpions li ha amati e continua ad amarli pur riconoscendone gli acciacchi da reparto geriatria, oppure sui trucchi pentatonici del solo di "Crossing borders", potremmo salutare Klaus Meine, Rudolf Schenker, Mathias Jabs ed i loro compagni con un'ovazione decisamente sincera.
Hail, hail, the sting in the tail!
Massimo