RICORDI: c'era una volta il Greatest Hits (seconda parte)

07.05.2021

Avevo già selezionato i Quattro della Seconda Apocalisse (due dei quali, purtroppo, rimarranno fuori), quando la conversazione avuta con un amico qualche giorno fa mi ha riportato alla mente certi episodi vacanzieri legati ad alcune antologie musicali. Ho ripercorso almeno due circostanze in cui, trovandomi all'estero ed avendo poco materiale a disposizione da far ruotare nell'autoradio, un paio di best of acquistati fortunosamente nei negozi locali furono provvidenziali.

Alla frase "il disco dei Journey che ascolto più spesso è il Greatest Hits", mi sono reso conto di pensarla esattamente come il mio arguto amico. Non troppo tempo fa, nei pressi di Marienplatz (ombelico della Monaco bavarese), un noto grande magazzino riservava un intero piano ai compact e, collateralmente, aveva un espositore dedicato all'Hard n'Heavy che avrebbe fatto invidia ad ogni bottega specializzata nostrana. Fu proprio durante quella visita che, rovistando tra le offerte, acquistai l'antologico dei Journey: l'edizione si presentava protetta da uno slipcase celebrativo dei Mondiali FIFA (appena) disputati in Sudafrica - sì, quelli delle vuvuzela!
Preferirei non rendermi ridicolo tentando di spiegarvi chi sono e cosa rappresentano i Journey, simulacro 
di qualunque artista o prodotto discografico imparentato, anche alla lontana, con l'AOR.

lo slipcase "Mondiali FIFA 2010", collezione privata
lo slipcase "Mondiali FIFA 2010", collezione privata

I quindici brani che potete ascoltare in "Greatest Hits" -in vinile dal 1988- tracciano la monografia perfetta, la Sacra Scrittura del credo americano fondato sulla figura retorica silk & steel: che viviate da sempre nell' heaven melodico o che vogliate avvicinarvi ad un colosso come Journey per la prima volta, la selezione contenuta in questa raccolta sarà comunque appagante. Qualsiasi filler è stato abilmente estromesso per fare spazio all'ovvio carosello di partiture immortali (c'è forse bisogno di citare "Don't stop believin'"?) e a qualche richiamo arcaico come "Lights" o "Wheel in the sky".

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Anno 2006: mentre la nazionale azzurra trionfava a Berlino, due irriducibili viaggiatori atterravano all'aeroporto di Cracovia e, con iniziale disappunto, realizzavano che nell'utilitaria noleggiata era installato un obsoleto... stereo a cassette! La nostra settimana itinerante avrebbe difficilmente avuto una colonna sonora.

la cassetta polacca di "Best of U.D.O.", collezione privata
la cassetta polacca di "Best of U.D.O.", collezione privata

Come sbagliavamo! Il giorno successivo, ci rendemmo conto che la produzione di tapes per cui la Polonia è oggi rinomata tra i collezionisti non solo era ancora viva, ma aveva rimpinguato gli scaffali dei negozi con tonnellate di Heavy  Metal su nastro magnetico! Non credo che mi sarei mai interessato al "Best Of U.D.O." (1999) se non per l'urgenza di coronare le mie vacanze con una degna colonna sonora. In fin dei conti, il nécessaire inciso dal buon Dirkschneider era già in mio possesso ed i greatest hits, si sa, hanno spesso il limite oggettivo di non aggiungere alcunché alla letteratura autografa dei nostri eroi.
Tuttavia, questa poco nota compilazione comprende alcuni tra gli estratti più preziosi del monolite eretto dal piccolo despota e dalla sua task force tra il 1987 e il '98. Temibili cime di metallo blindato come "Animal house", "Break the rules" e "Two faced woman" sono tutte presenti all'appello, per redigere un eccellente compendio dei primi sei album degli U.D.O. - di cui la tetralogia iniziale, francamente, imprescindibile.

Risalendo invece ad un periodo per me ancora formativo, "Who made who" fu davvero uno dei primissimi nastri di hard sound a trovare sistematico spazio nelle mie sessioni di ascolto. AC/DC era uno di quei brand consolidati in cui era impossibile non imbattersi, a maggior ragione in quegli anni '90 in cui la fibrillazione per lo "scolaretto" Angus era di nuovo alle stelle grazie alla doppietta "The razor's edge" / "AC/DC Live".
Irrompere con brevi selezioni in luogo di un vero ed esaustivo greatest hits fa ormai parte della politica aziendale di AC/DC, soprattutto se dette pubblicazioni vanno a commentare una controparte cinematografica: ciò che accadde nel 1986 con "Who made who" ed il maldestro "Brivido" (per la regìa di Stephen King, nda), infatti, si è ripetuto -come sapete- anche in tempi ben più recenti.
Nonostante l'inaccettabile assenza delle Colonne d'Ercole "Back in black" e "Highway to hell", la sintesi che mi introdusse all'etilico frasario degli AC/DC contiene materiale di prim'ordine: la notazione di "Hell's bells", trovata su uno dei mitici Quaderni di Chitarra della Arthuros, seguì immediatamente i miei allenamenti sul basilare riff di "Smoke on the water"!
Il voltaggio resta altissimo con l'inedita title-track ed altri fulminanti esercizi come "You shook me all night long" ed il preistorico hard blues di "Ride on".

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AC/DC su Metal Hammer, 1992, collezione privata
AC/DC su Metal Hammer, 1992, collezione privata
I Quaderni di Chitarra Arthuros, 1989, collezione privata
I Quaderni di Chitarra Arthuros, 1989, collezione privata

Dove finisce la parata dei numeri uno, però, inizia la gloria di chi non potrà mai essere incluso in alcuna classifica. Quando arriva l'ora dei fuoriclasse, tutto ciò che è stato detto e scritto perde ogni valore, peso e senso. Nei giorni dell'uscita (1998) di "Hot & Slow, Best Masters of the 70's", la mia familiarità con la configurazione ancestrale degli Scorpions si limitava al vinile "Virgin Killer" e poco altro; in tutta onestà, neanche la mia sensibilità si dimostrava del tutto matura per poter apprezzare appieno le liquide suites dei campioni tedeschi, trainati dall'unico, solo e solamente imitabile Uli Jon Roth.

Il sound tagliente che avrebbe fatto la fortuna degli Scorpions negli anni '80 (si noti come il modello "Catch your train" sia stato rivangato più volte, a cominciare dal ciclone "Hit between the eyes") è qui esaltato dalla fluida zen-guitar del più strabiliante tra i branditori d'asce successivi a Jimi Hendrix. L'asso visionario Roth trascina gli Scorpions nel turbine emotivo di "Drifting Sun", di "Yellow raven" e dell'argonautica "Fly to the rainbow" (su cui Emerson Lake & Palmer ha un chiaro ascendente); in risposta, Rudolf Schenker imprime col fuoco il suo marchio compositivo nelle proto-ballate "In your park" e "Far away".
Ciò che questo best of dal lungo e dettagliato incipit ("Hot & slow" era il titolo di un'altra raccolta, uscita nel 1991 sempre per RCA) passa in rassegna viene estratto dal lasso 1974-76: si escludono quindi il debutto "Lonesome crow" e -tragicamente- "Taken by force", culmine della creatività di Uli Jon Roth e album chiave nello sviluppo dello Scorpions-sound.

Uli Jon Roth da me fotografato a Scandicci (FI), 2016
Uli Jon Roth da me fotografato a Scandicci (FI), 2016

FINE SECONDA PARTE

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