RICORDI: c'era una volta il Greatest Hits (prima parte)

02.04.2021

"Greatest hits" (lett. "i più grandi successi") e "The best of" ("il meglio di") sono espressioni ormai entrate a far parte del gergo comune e adottate con nonchalance dal pubblico generalista quanto da quello sensibilmente coinvolto nella causa musicale. Ciò che molti invece non sanno -o non ricordano- è che vi fu un'epoca in cui il formato antologico era parte fondamentale della nostra formazione: la "raccolta", come la chiamavamo, è stata il medium che dava accesso a nuovi, avvincenti dimensioni acustiche, fornendoci una sintesi esauriente di produzioni ciclopiche e spesso così nutrite di titoli irrinunciabili che -ahinoi!- era arduo decidere da dove cominciare. Nell'era pre-telematica, l'antologia aveva quindi un valore iniziatico.
Adolescente a metà degli anni '90, con scarse facoltà economiche e l'informazione disponibile limitata al cartaceo e al passaparola, le modalità di approccio alle discografie non erano certo numerose per il sottoscritto: vinili pescati nei dimenticatoi dei negozi o negli angoli più trascurati delle bancarelle, l'impareggiabile tape-trading (anche a distanza!) e...le raccolte!

Qualunque mio coetaneo ha visto, negli early '90s, transitare nelle proprie mensole i due "Greatest hits" dei Queen (dalla regìa mi dicono che ne esiste un terzo...ma faccio finta di non sentire, nda), oppure il "Best of the The Doors" dall'iconica copertina, magari nel suo massiccio fatbox con poster allegato. Che dire, poi, dell'esorbitante compilazione "The ultimate experience" (1992) che riportò in auge il mito di Jimi Hendrix tra le nuove generazioni? 

Black Sabbath su ROCKERILLA, 1983. collezione privata Hammerblow
Black Sabbath su ROCKERILLA, 1983. collezione privata Hammerblow
Judas Priest su POSTER EXPRESS, 1992. c.p. Hammerblow
Judas Priest su POSTER EXPRESS, 1992. c.p. Hammerblow

Omettere i campioni d'incassi "So far so good" di Bryan Adams e "Cross road" dei Bon Jovi (conteneva l'inedito "Always"...) sarebbe altresì irrispettoso verso due titoli che hanno sonorizzato, allora, i pruriti sentimentali di chiunque: due collezioni non solo musicali, ma anche di frasi ad effetto immediatamente trascritte da ragazze e ragazzi su diari, zaini e superfici varie. Comunque e al di là degli effetti collaterali, se brani come "Summer of '69" e "Livin' on a prayer" sono oggi porzioni di cultura popolare su scala mondiale, lo dobbiamo a questi due best of.

Judas Priest, foto interna di "Metal Works"
Judas Priest, foto interna di "Metal Works"

La foto di gruppo, stampata nella tray card del doppio "Metal Works 73-93", è stata per me uno dei più illuminanti visuals di quel passato ormai remoto. Judas Priest erano suono, estetica e concetto, un vademecum per l'aspirante seguace della musica dura. Il sound che sgorgava da ognuna delle trentadue tracce incluse in questo magnifico antologico -a partire dall'antiproiettile "The Hellion / Elecrtic eye"- plagiava le cellule cerebrali, trasportandoci in uno scenario apocalittico, fatto di acciaio sferragliante e fusioni altamente infiammabili. E' innegabile che, alla stregua di pochi altri rappresentanti, Judas Priest segnò l'inizio della mia dipendenza spasmodica dall'immaginario heavy, ben oltre il mero apprezzamento acustico. Il rapace corazzato che sorvolava desolate macerie, sulla copertina di "Metal Works", aveva vinto!

Saxon su METAL HAMMER, 1991. c.p. Hammerblow
Saxon su METAL HAMMER, 1991. c.p. Hammerblow

Impiegai più del dovuto, invece, per assorbire l'hard proletario di Biff Byford e dei suoi Saxon, tanto che la scintilla definitiva scattò solo a posteriori, con la pubblicazione dell'inedito "Unleash the beast".
La EMI affidò l'apertura del "Best of" (1991) al cadenzato maestoso di "The eagle has landed", un diesel rispetto ai roboanti singoli caratteristici della band inglese: a fronte di una scelta così atipica, però, questo compendio dalla vivace copertina raccoglieva pressoché tutti gli stomp tipici del Saxon-sound, da "Strong arm of the law" a "And the band played on". Saxon erano i decibel madidi e polverosi della classe operaia, probabilmente ancora non del tutto digeribili da un adolescente infatuato dall'eccentrico metallo di Manowar ed altre iperboli. Il destino, benevolo, ha voluto che mai mi separassi da questo CD, oggi un pilastro della mia discoteca...

Nel risicato "Greatest hits", avvolto in un lugubre olio di Bruegel, trovai la chiave d'accesso alle fantasie funeree della premiata ditta Iommi/Osbourne. Il mio approfondimento dei Black Sabbath fu un iter piuttosto alternativo: grazie ad un duplicato del nastro "Dehumanizer", familiarizzai con i neri sacerdoti nella loro seconda formazione (con Ronnie James Dio al posto di Ozzy), per scoprirne successivamente le mirabili gesta sevenites. Esistono collezioni senz'altro più meticolose di "Greatest hits", ma gli eterei interventi del Mellotron su "Changes" e "Laguna Sunrise" (un precursore della ambient guitar!) mostravano la totalità della forza evocativa di Black Sabbath: oltre i diabolici, risaputi rintocchi del tritono auto-titolato, oltre le scansioni acide di "N.I.B." e "Iron Man", questa raccolta edita da NEMS (nel '77) apriva impensabili orizzonti sulla multiformità del linguaggio hard n'heavy.

Tra i ricordi personali della transizione dal nastro magnetico al compact disc (leggi: quando i miei genitori mi regalarono un impianto hi-fi, ignari di cosa stessero combinando! nda), "Deepest Purple" è un titolo cui mi rivolgo tuttora con grande amore e rispetto. L'antologia definitiva della hard rock band più cruciale di tutti i tempi dava l'inebriante sensazione di possedere tutto l'indispensabile delle celebri mark II & III di Deep Purple, nelle dimensioni contenute di un dischetto ottico. Le minacciose turbolenze di "Stormbringer" e l'invasato Glenn Hughes a ruota libera su "Burn" mi suggerirono quanto convenisse iniziare a guardare oltre la mia consunta cassetta di "In Rock"!
A posteriori, riscontrare pesanti assenze su questo the VERY best of è troppo facile: "Deepest Purple" è piuttosto una di quelle raccolte dall'inestimabile valore introduttivo (addirittura...didattico!), una rassegna degli argomenti che hanno reso Deep Purple procreatori di un intero macro-genere. Troverete lo swing feel netto, evidentemente ereditato dal blues, su "Demon's eye", "Black night" e "Strange kind of woman", poderosi crescendo e disinibiti frangenti improvvisatorii nell'epocale "Child in time", schermaglie virtuosistiche nel vortice elettrico di "Highway star"...

intervista su METAL HAMMER 1995, c.p. Hammerblow
intervista su METAL HAMMER 1995, c.p. Hammerblow
Deep Purple su HM, 1986. c.p. Hammerblow
Deep Purple su HM, 1986. c.p. Hammerblow

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