HO RIASCOLTATO: Tygers of Pan Tang e More

06.09.2021

Se il punk affossò brutalmente le impalcature -sempre più sofisticate- del rock duro degli anni '70, la New Wave Of British Heavy Metal fu la controriforma che mise a tacere in via definitiva l'oltraggioso blitz nichilista di Sex Pistols e compagni. Questa, in estrema sintesi, la cornice in cui mossero i primi passi Iron Maiden, Saxon e -in contemporanea- centinaia di seconde linee legate all'eredità heavy del recente passato.

Non occorre una ennesima panoramica sulle compilazioni che accesero la miccia, dai due tomi istituzionali di "Metal for muthas" a volumi raramente ricordati (ma altrettanto fondamentali) come "Metal explosion", edito dalla BBC. E' importante invece non dimenticare che la NWOBHM contava innumerevoli "figli di un dio minore" che non solo non raggiunsero mai le quote del mainstream, ma non hanno neanche, a posteriori, ottenuto l'autorevole sponsorizzazione dei Metallica - di cui Diamond Head stanno tutt'ora beneficiando - o l'appeal esoterico che ha fatto degli Angel Witch un imperituro fenomeno metal-gotico.

TYGERS OF PAN TANG
SPELLBOUND (MCA, 1981)

Non ho seguito altro criterio, nella selezione dei due "indagati", se non la qualità oggettiva che non può e non deve sfuggire (ri)ascoltando album come "Warhead" e "Spellbound"! 

Tygers of Pan Tang provenivano da un'esperienza discografica ("Wild cat", 1980) confinante con il glam, benché la furia primordiale ritratta sulla bellissima cover sia, col tempo, diventata un'icona tra gli adepti dell'acciaio inglese. Ciò che la band riesce a riprodurre sul secondo lavoro in studio, però, va oltre ogni previsione: alla tana delle tigri si uniscono John Deverill, tra i pionieri delle vocals cristalline in ambiente Heavy, ed il chitarrista John Sykes, iniettore di metallo pesante e torrenti elettrici ad altissimo voltaggio.

Al lungocrinito axeman non mancherà l'occasione per rinvigorire Thin Lizzy ed il suo canto del cigno ("Thunder and lightning", 1983), per sperimentare poi una complicata permanenza nei Whitesnake ed infine un progetto solista - Blue Murder; ma, abbiate fede, ciò che ascolterete tra i solchi del secondo Tygers è opera di un assembramento di belve fameliche all'apice del metallicus furor, uno dei dischi più freschi e vibranti su cui sventola orgogliosa la Union Jack!
Tygers of Pan Tang sfida il muro del suono con "Gangland" e "Hellbound", micidiali agguati live cui i ruggenti felini (nella loro nuova configurazione) tuttora non rinunciano; "Mirror" è una di quelle ballate trasognanti come si facevano solo in Inghilterra, a cavallo tra anni '70 e 80, sfuggente come gli Iron Maiden di "Strange world", drammatica come "Free man" degli Angel Witch.

La chiusura col botto del masterpiece targato Tygers of Pan Tang si intitola "Don't stop by": seguirà un'onesta e sorprendentemente longeva carriera, tra alti e bassi.

MORE
WARHEAD (Atlantic, 1981)

Non riuscirono invece ad oltrepassare il secondo checkpoint ("Blood and thunder", 1982) i More, nelle cui fila militava un personaggio che i devoti della ferrea virgo dovrebbero riconoscere anzichenò: lo scalmanato Paul Mario Day fronteggiò la formazione embrionale di Iron Maiden, finché le circostanze non favorirono un quasi-omonimo giovanotto decisamente sopra le righe.

Trasalii ascoltando per la prima volta i More, con il singolo "Soldier" dal ciclopico incedere: era l'episodio senz'altro più interessante di "Metal explosion" (1980), con la formidabile chitarra di Kenny Cox sparata su chili di puro british-overdrive.
La  progenie superamplificata di Led Zeppelin e (ancora una volta) Thin Lizzy!

Mi lanciai alla non troppo estenuante ricerca di "Warhead", trascurato debut del 1981 che dilania i timpani con l'assordante title-track, per prendere poi il largo, senza soluzione di continuità, con una crepitante "Fire" (direttamente dal pazzo mondo di Arthur Brown) e con la già nota "Soldier".

In apertura della side-B, More rivisita il modello priestiano "Victim of changes" in chiave eroica, con i mortali fendenti del guerriero solitario "Lord of twilight": chitarre che lacerano le carni, tormento ed estasi nell'epico chorus - anticipatore dell'imminente scorribanda dei Manowar!

Completano l'opera esercitazioni sicuramente segnalabili, ma più ordinarie, come "I have no answers" ed il 45-giri "We are the band".

Quella del 1981 è NWOBHM per metal-rockers duri e particolarmente esigenti in fatto di atletismo sulle sei-corde: per vostra fortuna, titoli come "Spellbound" e "Warhead" circolano -oggi come allora- con rassicurante frequenza, sia in originale che in ristampa su compact.

Massimo

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