HO RIASCOLTATO: Deep Switch - Nine inches of God

09.04.2021

DEEP SWITCH - Nine inches of God
(autoproduzione, 1986 / Black Widow, 2005
)

A cosa facesse riferimento questa "profonda interruzione" è un dettaglio che non scopriremo mai, ma il bizzarro gioco di parole che la formazione inglese utilizzava come nome di battesimo (nel gergo elettronico, il DIP switch è un...interruttore per circuiti stampati!) dà la misura delle vibrazioni anomale contenute nell'unico album lasciatoci in eredità da Deep Switch.

Le ristampe che periodicamente arrivarono in redazione tra il 2004 e il 2005, invece, la dicevano lunga su quante etichette si stessero adoperando per dissotterrare un certo tipo di materiale: chiunque credesse di avere una perfetta conoscenza della "seconda NWOBHM" citando i dischi di Trojan, Persian Risk e Tyga Myra, avrebbe dovuto prendere nota di nomi e titoli che rividero la luce in quel periodo! Deep Switch erano infatti apparsi in calce alla retrospettiva "Total Metal Attack" (2004), coproduzione anglo-polacca dedicata al settore più oscuro del British steel d'annata, ma a riconsegnarci questo "Nine inches of God" nella sua interezza, completo di copertina nunsploitation e follie assortite, fu la Black Widow di Genova.

Nel revisionare oggi quel cartonato promozionale, non posso fare a meno di riportare testualmente un brano che scrissi, all'epoca, su Hammerblow"...a prescindere dal tipico razorblade-riffing, massimo comun denominatore delle band inglesi di quegli anni, la proposta di Deep Switch era un vero delirio metallico, un groviglio di stravaganti concessioni che questi soggetti riuscirono a combinare con la più radicale tra le forme dell'hard".

Tant'è. Se la lama di rasoio è palesemente brandita nel nome di Judas Priest, Angel Witch ed altre esperienze ben note a tutti (noi), Deep Switch si manifesta come uno dei più originali sound del periodo, con la sua metrica bislacca e persino momenti adiacenti al musical ("Pigfeeder" e "Time machine"), assolutamente inediti per l'epoca.
Detto questo, non crediate di trovarvi di fronte ad un album proto-demenziale, suonato da un manipolo di sgangherati che maschera scarse abilità con l'attitudine del barzellettiere: i Deep Switch erano musicisti assai preparati e dalle sopraffine doti cantautorali.

Sorretti da una produzione potente e professionale, rara nella casistica underground, Deep Switch vantano composizioni dalle strutture avventurose, commenti di chitarra solista tecnicamente avvincenti e mai scontati, oltre ad un cantato dalla pregevole versatilità.
"The dark angel", "Poor bastard!" e la conclusiva "Spinning on the wheel" esalano le malsane essenze del Heavy Metal Epico di Cirith UngolManilla Road, in una rilettura sicuramente meno truce ma altrettanto evocativa. La ballad "Lovers of the dream" mostra una minuziosa ricerca delle dinamiche, per esplodere in un torrenziale guitar solo che, vi garantisco, assaporerete fino all'ultima nota.

"Nine inches of God" è stato ulteriormente ristampato, nel 2010, in una versione estesa su doppio CD, edita da Shadow Kingdom Records, facilmente reperibile a prezzi interessanti: non esiste quindi alcun motivo valido per lasciarsi sfuggire questo...mirabolante incompreso.
Per chi invece avesse bisogno di referenze dal mondo dei big, segnalo che il batterista Simon Dawson (qui con lo pseudonimo DeMontford!) è oggi impegnato nei British Lion di Steve Harris.

Massimo

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