BALLETTO DI BRONZO: il ruggito del...Leone!
LEMURES
(Black Widow, 2023)
Togliamoci subito dai piedi le noiose quanto obbligatorie osservazioni che riguardano il confronto tra "Lemures" ed il precedente "Ys".
Tra il nuovo album del Balletto Di Bronzo ed il suo predecessore intercorrono cinquantuno (ripeto: cinquantuno!) anni che, tuttavia, non possono essere definiti "silenziosi": il deus-ex-machina Gianni Leone ha infatti, in questo lunghissimo periodo, sperimentato e maturato innumerevoli esperienze sia solistiche che con estemporanee formazioni (addirittura come ospite degli Osanna!), ma non è tutto. Nei decenni, il mito, la leggenda, la gloria di un'opera sonora del calibro di "Ys" hanno risuonato sempre di più, rafforzandone il culto ad ogni latitudine, impedendo alle genti di dimenticare il Balletto e stimolandole, anzi, a seguirne le cronache. Stando così le cose, è ovvio che il raffronto con il passato sia al tempo stesso una sfida adrenalinica ed un rischio temibile per i musicisti coinvolti nel progetto; per noi che lo ascoltiamo e lo commentiamo, invece, non può essere altro che una sorpresa ed un'affascinante riscoperta.
L'attuale trio, messo in piedi dal talentuoso cantante/tastierista, è diretto discendente dell'edizione "anni 90" del Balletto di Bronzo e riporta alla mente valorosi "triangoli esoterici" sprovvisti di chitarre come Emerson Lake & Palmer e Quatermass.
Ma, se nel 1995 il revival avrebbe potuto procurare a "Lemures" la meritata visibilità, gli anni '20 di questo Millennio non sono certo "anni di prog": giocoforza, la risonanza mediatica di una pubblicazione come questa non è affatto proporzionale al prestigio dell'effigie stampata a lettere gotiche sull'inquietante copertina. Il fatto che mi ritrovi a commentare il nuovo album del Balletto a dodici mesi esatti dalla sua uscita, d'altronde, è indicativo.
Inoltre, pur posizionandosi all'ombra di quello stesso, gigantesco ombrello chiamato rock progressivo, cinque decadi di distanza sono più che sufficienti a suggerire che due dischi come "Lemures" ed "Ys" non possano essere direttamente confrontabili, in alcun modo. Troppe sono le influenze che qualunque musicista respira ed assorbe in un lasso temporale così lungo, figuriamoci se il master of puppets del progetto porta il nome, la sensibilità musicale e la ricettività di un talento puro come Gianni Leone.
L'introduzione strumentale "Incubo e succubo" stabilisce e chiarisce, in meno di 4 minuti, le coordinate dell'opera. Il recupero dell'antica vena dark, la mentalità compositiva "tridimensionale" di Leo-Nero, l'incedere marziale ed una certa viziosità ai confini con il metal - sia nello stile del batterista Riccardo Spilli che nell'approccio ai tasti bianconeri dello stesso Leone: eccovi gli ingredienti principali di "Lemures".
L'insistenza, quasi asfissiante, su velocità controllate e ritmi monolitici è forse il più evidente punto di rottura con il Balletto di "Ys", con quel quartetto che non perdeva occasione per lanciarsi in folli variazioni ritmiche, assoli spericolati e barocchismi di ogni genere; tanto che, ascoltando il nuovo album tutto d'un fiato, si ha spesso la percezione di avere a che fare più con i Goblin che con il Balletto di Bronzo, se non fosse per la visione fortemente "cromatica" espressa in ognuno dei numeri che compongono "Lemures".
Sorprendono pezzi come "Oceani sconosciuti" e "L'emofago" che, nella loro mise spettrale e nell'impressionante ricchezza dei suoni, permettono a Gianni Leone di trasformare i suoi sintetizzatori in una chitarra elettrica super-distorta e tirarne fuori riff minacciosi, alcuni d'ispirazione quasi zeppeliniana.
La voce dell'eclettico frontman è raramente acida, come lo era invece negli impareggiabili solchi di "Ys", ma preferisce esibirsi in interpretazioni felpate anche nelle situazioni più squisitamente progressive ("L'ombra degli Dèi" , "Certezze fragili"), lasciandosi andare a vocalizzi spiritati e stravaganti solo in episodi selezionati.
Lo strumentale "Labyrinthus" è il frammento che forse più deve allo stile cinematografico dei Goblin, con la sezione ritmica a dettare le complesse dinamiche ed i sintetizzatori che tracciano un fraseggio tetro e sufficientemente immediato.
La sorpresa che è lecito aspettarsi da artisti di questa levatura, arriva allo scoccare dell'ultima traccia, dal titolo "Il vento poi". Un testo breve ed esistenzialista - nella migliore tradizione del prog-italiano! - canta, in soldoni, che polvere eravamo e polvere ritorneremo, prima che la tastiera di Gianni Leone cambi del tutto sembianze ed esploda in un credibile guitar-solo, sullo stile di Steve Vai!
"Lemures" non è un album totalmente figlio del suo tempo, né un'operazione nostalgica che ribatte pateticamente gli accenti apocalittici (ed epocali!) di "Ys": il Balletto è ancora una grande formazione di rock progressivo, che guarda alla sua opera più grandiosa con rispetto ma senza la paura di svincolarsi da essa, avventurandosi invece in trame e suoni che disegnino i connotati di una nuova, forte identità. Questo è il Balletto di Bronzo "edizione XXI Secolo", prendere o lasciare.